Fragranze, Aromi e Salute

Fragranze, Aromi e Salute

di Donatella Stocchi

Donatella Stocchi: Fragranze, Aromi e Salute

Perché scrivere un libro sulle fragranze

Ancora oggi, nell’immaginario comune, il termine “disabile” si associa solo a coloro che hanno un chiaro segno di “differenza”: una sedia a rotelle, le stampelle, l’accompagnamento di un cane guida, ecc. (1). Eppure, tra le categorie di disabili ci sono sottopopolazioni che hanno disabilità invisibili, che non sono meno reali e complesse di quelle visibili. Nel mondo dei tecnici, “disabilità” è quindi un termine ombrello, sotto al quale rientrano esperienze e realtà molto diverse.

Grazie alla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e della Disabilità (ICF – International Classification of Functioning, Disability and Health), pubblicata dall’OMS nel 2001, la parola ha cominciato ad assumere il significato di “fenomeno multidimensionale”. Nel documento, infatti, si tiene conto dell’interazione tra la persona e l’ambiente fisico e sociale. L’ICF abroga il costrutto di “handicap” e lo trasforma, includendolo in quello di “disabilità” e, nella nuova concezione, la disabilità viene definita come “il risultato di una discrepanza tra le richieste dell’ambiente e le prestazioni del singolo individuo”. Attraverso il modello psicosociale, l’ICF porta quindi a una rivoluzione concettuale che trasferisce il focus dalla visione riduttiva della disabilità come menomazione fisica o psichica – una visione cosiddetta solo medica – ai bisogni dell’ambiente della persona.

Nell’applicazione dell’ICF, la disabilità non è più considerata un problema che affligge un gruppo minoritario all’interno della società, ma un’esperienza che tutti possono sperimentare nell’arco dell’esistenza. Pertanto, “considerare la disabilità un problema collettivo e non personale implica necessariamente che l’ambiente esterno debba cambiare in modo da consentire ad ogni persona di prendere parte alla vita sociale (1)”.

È necessario inoltre ricordare l’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD – Convention on the Rights of Persons with Disabilities) accolta nell’Unione Europea (3), anche se rimane più una dichiarazione di intenti.

La realtà della disabilità è infatti ben diversa e le statistiche evidenziano che le persone disabili rappresentano dal 15% al 20% della popolazione mondiale. Essere disabili è spesso profondamente stigmatizzante e non c’è da meravigliarsi che molte persone scelgano di “passare” come non disabili piuttosto che identificarsi con una comunità considerata sfortunata, danneggiata e un peso per la società (1).

Nel libro Contours of Ableism: The Production of Disability, la professoressa Fiona Kumari Campbell, esperta di Disability Studies, scrive: “Da quando nasciamo, il mondo ci insegna che essere disabile significa essere inferiore, e che la disabilità è tollerata ma, in ultima analisi, intrinsecamente negativa (2)”.

“Analogamente alle definizioni di razza, genere e sessualità, le definizioni della disabilità – di ciò che è considerato disabilità e cosa significa – cambiano costantemente a seconda di una miriade di fattori come la religione, le politiche sociali ed economiche, le relazioni di parentela e così via. Le definizioni di disabilità si sono anche intrecciate con i significati mutevoli di razza, genere, sessualità e classe in modo da rafforzarsi a vicenda. Che la disabilità sia una costruzione sociale risulta evidente anche soltanto cercando di definire la disabilità oggi negli Stati Uniti. Cosa sia o non sia la disabilità, è tutt’altro che chiaro. Le definizioni di disabilità cambiano da una normativa all’altra nell’ambito delle varie organizzazioni e agenzie governative, e questo non dice nulla dei molti significati che la disabilità ha culturalmente, socialmente o all’interno degli stessi movimenti per disabili (1)”.

“Il fatto che la disabilità sia così difficile da definire è uno dei motivi per cui ha avuto un ruolo così importante nel plasmare le ideologie occidentali della differenza e della normalità. In altre parole, la disabilità è sia una realtà vissuta che un quadro ideologico che delinea i contorni di fragili significati di normo-abilità (1)”.

Questa modalità di pensiero ci porta a introdurre il termine “abilismo”. “L’abilismo è un pregiudizio nei confronti delle persone disabili che porta a innumerevoli forme di discriminazione; dalla mancanza di accesso al lavoro, all’istruzione e all’alloggio, agli stereotipi oppressivi e alle diseguaglianze sistemiche che lasciano i disabili ai margini. L’abilismo genera discriminazione e oppressione, ma determina anche il modo in cui definiamo quali incarnazioni sono normali, quali sono preziose e quali sono intrinsecamente negative (1)”.

L’autrice Sunara Taylor, nel suo libro Bestie da soma – Disabilità e liberazione animale, scrive: “Ho capito che l’abilismo è una forza che si espande oltre le persone disabili, perché tutti i corpi sono soggetti all’oppressione dell’abilismo. L’abilismo modella le nostre opinioni e i nostri valori culturali, nonché le nostre nozioni su cosa significa essere indipendenti, come misurare la produttività e l’efficienza, cosa è normale e persino cosa è naturale (1)”.

Nell’ambito della cosiddetta disabilità “ambientale”, ovvero direttamente relazionata all’inquinamento ambientale, la mia storia è nota. A 35 anni mi sono ritrovata disabile, ma le barriere che mi impedivano di accedere alla società non erano architettoniche, bensì invisibili, chimiche e ambientali. Nella mia esperienza, il varco tra normalità e disabilità si è aperto improvvisamente a seguito di una esposizione acuta a sostanze chimiche, nella fattispecie un’anestesia generale gassosa di derivazione petrolchimica, che ho ricevuto durante un intervento di glaucoma. In seguito a questa “esposizione” – termine tecnico – ho dovuto rinunciare a tutto quello che facevo in precedenza, ma anche a tutto ciò che credevo di essere.

Erano gli anni ‘90 e in Italia non c’erano informazioni su quella che sarebbe stata la mia diagnosi: Sensibilità Chimica Multipla (Multiple Chemical Sensitivity o MCS). Si trattava – e tutt’ora si tratta – di una patologia “negata”, ovvero non riconosciuta e soprattutto storicamente delegittimata, che ha ricevuto una pletora di denominazioni dal 1956 in avanti. Personalmente, come molti mi sento rappresentata dalla definizione di T.I.L.T. (Toxicant Induced Loss of Tolerance), ossia Perdita di Tolleranza Indotta da Sostanze Chimiche, un’espressione coniata dalla dott.ssa Claudia Miller e prontamente adottata in tutto il mondo.

Questa disabilità si manifesta con una costellazione di sintomi in cui sono coinvolti gli organi di senso (ma non solo), ma le persone che ne soffrono diventano gravemente malate per l’esposizione agli xenobiotici inquinanti (sostanze estranee al metabolismo degli esseri viventi).

Non essendoci ancora indicazioni terapeutiche della EBM (Evidence-based Medicine)[1], la principale terapia per non peggiorare è la scelta di riprogrammare il proprio stile di vita sulla base delle sensibilità chimiche individuali e adottare come cura preventiva l’evitamento chimico, un’altra dicitura tecnica.

Riguardo a me, la gravità dei sintomi nel momento in cui ho ritentato di entrare in contatto con dosi anche piccole di xenobiotici (e quindi con la società nel suo complesso), non ho più potuto avere un’occupazione, né godere di una vita sociale. Ho cercato di riorganizzare la mia vita al di fuori della concezione normale di “vita”. Prima ero una terapista della riabilitazione, ma avevo anche la passione della ricerca ed è così che, anche se ho dovuto confrontarmi con limiti inimmaginabili – come il non espormi alla carta, agli inchiostri, a una penna – ho cercato di documentarmi. Negli anni ho collezionato studi di ogni tipo, tutti inerenti a patologie relazionate all’inquinamento, alle profumazioni sintetiche e alle sostanze chimiche. A un certo punto, ho cominciato anche a tradurre testi per l’Italia e ho trovato amici in ogni parte del mondo. Con loro ho condiviso un viaggio di conoscenza, un percorso che è presto diventato “istruzione all’evitamento chimico” e alla consapevolezza ambientale per le presenti e future generazioni.

Soprattutto il dolore sperimentato quotidianamente per l’esposizione ai composti di fragranze (ovvero ai profumi sintetici) è stato lo stimolo a indagare in un’ottica scientifica ciò che vivevo nella pratica. I profumi mi creavano una tale costellazione di sintomi violenti che questo bisogno di conoscenza in materia di fragranze non mi ha mai saziato, benché si sia accompagnato a un aggravamento costante. Nel frattempo, i disabili e i malati sono andati crescendo di numero, fino a che mi hanno invitato a scrivere un testo che raccogliesse le mie conoscenze. Ho capito che questa mia competenza in materia di profumazioni era diventata rilevante per gli altri e poteva fare la differenza: era il tempo di condividere.

Inizialmente non ho raccolto il testimone, e per valide ragioni. Chi vive la malattia a questi livelli sa che impegnare la mente in un progetto di sofferenza psicologica quotidiana può essere non solo un carico troppo pesante, ma addirittura un gesto incosciente, pericoloso e suicida. Perciò mi sono preparata a questo momento gradatamente, in silenzio, finché ciò che ero tenuta a fare è arrivato a coincidere con ciò che ero in grado di fare.

Non ci sono libri in lingua italiana che trattino di fragranze di sintesi da questo punto di vista. Voglio quindi comunicare alle persone con un olfatto normodotato e assuefatto, ma anche a quelle con patologie olfattorie, come i malati di MCS percepiscono gli odori e processano gli stimoli olfattori e perché, tra le tante sostanze chimiche disturbanti, proprio le fragranze rivestono un ruolo prioritario nella piramide delle esposizioni quotidiane che causano stati di malattia.

Innanzi tutto, la loro “invisibilità” sociale le avvolge in una presunzione d’innocenza che le rende non solo onnipresenti, ma anche incredibilmente dannose per la salute. I pazienti MCS ci rivelano quindi un lato della disabilità, non sempre illuminato: non si contempla che spesso, a causa della disabilità, una persona si misura necessariamente con una realtà esterna (ambiente) e interna (corpo e mente), percependone aspetti che i cosiddetti “sani” non sono chiamati a cogliere nemmeno nel corso di una vita intera. Individui che si percepiscono come in buona salute danno per scontati molti aspetti dell’esistenza e addirittura praticano, o sono sottoposti, ad abitudini insalubri, le cui conseguenze diventano manifeste solo quando c’è una perdita evidente di ciò che considerano salute.

Per i pazienti MCS, però, questo cambiamento è non solo particolarmente evidente, ma anche un’esperienza così peculiare, che essi rivendicano la posizione di sentinelle e soggetti sperimentali: possono infatti restituire alla società un contributo di esperienza unica ed essenziale al benessere dell’intera comunità. Sanno di essere gli apripista, attraverso la loro percezione multiforme dei comuni prodotti di consumo profumati e di altri xenobiotici, di una nuova visione della relazione tra corpo, mente e mondo.

Non a caso, alcuni ricercatori hanno definito il malato MCS “a canary in the coal mine”, ricordando che la particolare sensibilità dei canarini al monossido di carbonio li rende sentinelle nelle miniere di carbone. La professoressa Anne Steinemann – scienziata ed esperta internazionale di inquinanti ambientali, qualità dell’aria e relativi effetti sulla salute – scrive, nel 2018: “Le persone con MCS sono come i canarini. Reagiscono prima e più gravemente agli inquinanti chimici, anche a bassi livelli (4)”. Aggiungo che la complessità di queste reazioni trascende di molto la visione comune.

Innumerevoli sono gli esempi di questo paragone con i canarini. Ricordo JG Lipson del Department of Community Health Systems, School of Nursing della University of California, che pubblica, oltre ad altre ricerche sull’argomento, uno studio etnografico che indaga le esperienze di convivenza con la MCS nel 2001: “Noi siamo i canarini” scrive. “La cura di sé in chi soffre di sensibilità chimica multipla (5)”.

Alison Johnson, grande attivista, autrice di libri e documentari sul tema, ha scritto, nel 1999, un’opera scientifica intitolata Vittime del progresso (6). È costituita da 57 anamnesi cliniche di pazienti gravi, in cui si definiscono i malati MCS come “canarini della miniera”, dunque cavie umane e vittime del progresso: “I canarini umani sostengono che, anziché essere una limitazione, la disabilità chimica è una capacità di percepire (7)”. Ricordo che la stessa Johnson è malata, così come le sue due figlie.

Dunque, gli individui con MCS sono sensibili e hanno reazioni a sostanze del nostro ambiente a livelli tollerati dalle altre persone, ma che determinano loro, tra gli altri sintomi, una limitata capacità di respirare. La loro condizione, che non è un’allergia, può sembrare invisibile e pure è reale, e sta avvertendo la società che le comuni esposizioni ambientali possono avere un impatto negativo su molte condizioni mediche croniche e in particolar modo durante alcune finestre della vita come la gravidanza, l’infanzia, la vecchiaia, la malattia.

Ogni disabilità è unica e peculiare. La forma che ha colpito me può essere definita “sistemica” perché i sintomi invalidanti sono multi-sistemici e colpiscono ogni aspetto della vita, e questa particolare forma di esperienza sistemica è a sua volta anche una storia di marginalizzazione, denigrazione, discriminazione ed esclusione sistemica da tutte le forme della vita sociale comunemente intesa.

[1] EBM (Evidence-based Medicine) – La medicina basata sulle prove è “l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori prove attuali nel prendere decisioni riguardo i singoli pazienti”

La mia vita è stata divisa nei due lati di questa strana medaglia. Prima, sono stata una professionista “sana” che riabilitava i disabili. Poi, nella seconda metà della mia esistenza, sono stata una disabile bisognosa di assistenza sanitaria e aiuto quotidiano. È stato istruttivo rivedermi con occhi diversi e pensare agli insegnamenti riabilitativi ricevuti, perché ho sperimentato su di me i loro limiti, teorici e pratici.

“Le rappresentazioni della disabilità originano spesso dalla medicalizzazione, dall’idea che la disabilità sia un problema da risolvere facendo ricorso alla medicina e alla riabilitazione. Durante il diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo la disabilità è passata da essere considerata una questione prevalentemente morale, spirituale o metafisica a una questione medica. Laddove una volta la disabilità era intesa come un intervento divino o come il prezzo da pagare per un debito karmico, ora veniva intesa come una devianza medica. Quello che chiamiamo “il modello medico della disabilità” considera il corpo disabile come malfunzionante, malsano e anormale, bisognoso di cura. Molte persone disabili sostengono che la disabilità, semplicemente, non è un problema medico; è un problema di giustizia sociale. Questo non vuol dire che le persone disabili a volte non abbiano bisogno di medici o di aiuti medici. Piuttosto, significa che la medicina non è l’unico, e nemmeno il miglior modo di comprendere la disabilita” (1).

La disabilità, infatti, non è una malattia, benché possa sovrapporvisi e intrecciarsi alla malattia. È piuttosto una condizione temporanea in cui non si riesce a fare qualcosa che sarebbe superabile se mettessimo a disposizione della persona gli strumenti giusti. Tuttavia, se per alcune disabilità gli strumenti sono una carrozzina, un computer, un ascensore o un servizio assistenza… nel caso dei disabili MCS si chiede alla società di rimuovere le barriere chimiche e quindi l’intera eliminazione delle sostanze chimiche inutili.

E ancora: “In queste narrazioni la disabilità è quasi sempre vista come una tragedia personale. Ci si aspetta che le persone disabili trovino il coraggio di superare i propri limiti attraverso la forza di carattere, piuttosto che affrontare la discriminazione e l’oppressione. Qualsiasi cosa faccia una persona disabile, non importa quanto banale o straordinaria, è vista come sorprendente e stimolante: sposarsi, andare a scuola, anche solo uscire di casa o non volersi uccidere (o volerlo fare). Tale narrazione non ha la funzione di spingere altre persone disabili a partecipare alle proprie comunità e chiedere la parità dei diritti, ma motiva il pubblico dei normodotati a darsi maggiormente da fare ed essere più grati. Attraverso questa lente, la disabilità diventa una versione iper-sentimentalizzata della classica narrazione capitalista del povero che si riscatta da sé” (1).

Inoltre, come persona malata e disabile di sesso femminile ho sperimentato anche le diseguaglianze di genere. Johanna Hedya, nella sua Teoria della donna malata, scrive: Il capitalismo, per restare in vita, non può farsi carico delle nostre cure: la sua logica di sfruttamento esige che qualcuno di noi muoia. La ‘malattia’, nel senso in cui la intendiamo oggi, è un costrutto del capitalismo, così come il suo opposto binario, lo ‘stare bene’. La persona che sta ‘bene’ è la persona che sta bene per lavorare. L’aspetto più distruttivo del concepire il ‘benessere’ come stato ‘predefinito’, come modalità standard dell’esistenza, è il fatto che inventa la malattia come temporanea. Se essere malata è un’aberrazione rispetto alla norma, siamo autorizzati a pensare che lo siano anche le cure e l’assistenza (1)”.

Scrivere di MCS significa perciò scrivere di disabilità e infiniti sintomi disabilitanti gravi, di cui la percezione olfattiva è solo un segnale. L’ambito dell’olfatto è poi complesso di per sé, perché non possediamo abbastanza termini per descrivere gli odorigeni e la relativa percezione soggettiva. L’olfatto risulta essere un organo di senso molto soggettivo e perciò parlare di odori è parlare di infinite percezioni soggettive. Inoltre, voler tentare di comunicare una disabilità nella percezione di aromi e fragranze è ancora più complicato poiché, se da un lato si fa riferimento a esperienze non condivise, dall’altro si rischia la responsabilizzazione psicologica, tendenza dei nostri tempi che va a discapito della responsabilizzazione sociale e dell’importanza della relazione. Potrei descrivere percezioni sensoriali che il 99% dei lettori di questo libro non ha e che probabilmente non proverà mai, ma questo non significa che il mondo, là fuori, sia meno reale di quello che cercherò di illustrare. Per questo è per me importante basarmi sulla scienza che abbiamo a disposizione, che è tantissima e pure volutamente distorta, messa in secondo piano o addirittura oscurata.

Da quando mi sono svegliata in ospedale, dopo l’anestesia, il mio cervello non ha più smesso di domandarsi: “Macchiffastapuzza?”, una frase che rubo a Raymond Queneau in Zazie nel metrò.

Per il senso dell’olfatto, infatti, il mondo degli odoranti si divide semplicemente in “gradevoli” e “sgradevoli”. Secondo il ricercatore Carlo De Luca, uno specialista in Otorinolaringoiatra che propone una metodologia diagnostica denominata “Check-up nasale totale” e si occupa della sindrome di Sensibilità Chimica Multipla, la puzza non dovrebbe neanche esistere. Le persone con questo problema potrebbero aver subito un danno di varia natura alla barriera epiteliale nasale e questo potrebbe aver compromesso l’impenetrabilità della mucosa olfattoria, aprendo dei varchi. Perciò, quando il messaggio olfattorio, che è composto da molecole volatili, entra nel naso e si deposita sui recettori trigeminali (i quali non sono più rivestiti dalla mucosa nasale e dal film mucoso) produce un effetto simile al sole a picco su un’ustione scoperta.

La teoria proposta è che i malati con sensibilità chimiche non posseggano affatto un olfatto particolarmente sviluppato: negli anni, questa loro reattività agli odori è stata descritta come “iperosmia” ma, al contrario, sembra che soffriamo di una “disosmia iperosmica” per via di una eccessiva esposizione dei recettori trigeminali. È quindi una situazione conseguente al danno della barriera della mucosa, la cui stimolazione genera un’abbondante risposta locale con attivazione dei circuiti neuronali sistemici.

Un altro ricercatore, il canadese John Molot (8-9), ha identificato l’esposizione ai composti organici volatili (COV o VOC) come uno tra i probabili fattori scatenanti dei sintomi delle sensibilità chimiche. Gli inquinanti chimici alterano infatti la funzionalità ormonale e avrebbero come bersaglio i recettori per gli xenobiotici (XR), quelli per gli idrocarburi arilici (AhR), il sistema Keasp-Nrf2 e la famiglia dei canali per i recettori a potenziale transiente (TPRV1 e TRPA1).

In particolare questi ultimi sono coinvolti nella fisiologia molecolare della percezione chimica. I TPR determinano una soglia più bassa per la risposta cellulare agli stimoli chimici, generando una sensibilizzazione e aumentando l’intensità e la durata delle reazioni. Quando vengono attivati i recettori sopra citati, hanno come bersaglio i geni che influenzano la detossificazione degli xenobiotici in fase I e in fase II.

Tradotto nell’esperienza pratica di un paziente, significa reagire con una costellazione di sintomi a esposizioni di sostanze chimiche anche a bassissime dosi (inferiori a quelle precedentemente o comunemente tollerate) e questo avviene più frequentemente (ma non solo), se le sostanze emanano “un odore”. Percepiamo dunque un effluvio con un’intensità 10, 100, 1000 volte più forte rispetto alle persone comuni. Quando una sostanza aromatica entra prepotentemente nel nostro naso e si lega ai recettori, vi permane per giorni a ogni inspirazione ed espirazione: in pratica, è come se tutto l’ambiente che ci circonda fosse colorato da questo aroma. Non solo: l’odorigeno si percepisce nella bocca, sulla lingua, nelle mucose interne fino al palato, come se fosse stato appena mangiato. Se poi il contatto ha coinvolto anche le mani, non serve a nulla lavarle, grattarle, usare la pietra pomice nel tentativo di rimuovere il profumo. Viene d’istinto cercare di localizzare la fonte odorigena per eliminarla, o cercare di cancellare questa esalazione pulendo e rilavando tutto quello che è stato contaminato. Eppure, dopo una salutare “bonifica” di base, in verità è meglio arrestarsi: si può solo aspettare che il naso ripristini la normale funzione olfattoria e che i materiali contaminati dall’odore, prontamente rimossi dall’ambiente, siano posizionati all’aria aperta finché “degassino” o siano sigillati ermeticamente in sacchi.

Il problema rilevante è che in questa società le sostanze profumate sono così diffuse nell’ambiente indoor e outdoor che si incollano irrimediabilmente a qualsiasi cosa e quindi risulta impossibile evitarle. Le bonifiche sono continuamente necessarie, anche decine di volte al giorno. E a ogni esposizione seguono i sintomi fisici. Si capisce come la vita diventi un calvario che spinge alla disperazione anche i più forti.

Porterò un esempio di come sia difficile procurarsi anche solo gli alimenti necessari alla sopravvivenza: ogni imballaggio alimentare assorbe le fragranze e a volte queste riescono a trasferirsi all’interno dell’alimento. Non tutti gli imballaggi posso essere rimossi senza che la merce perda la freschezza e l’igienicità, rispettando i tempi di conservazione prescritti. Questi imballaggi, quindi, una volta entrati nell’abitazione, contaminano il frigorifero di fragranze e così avviene per l’interno dei mobili della cucina. Per il paziente MCS, questo è un incubo di sintomi caleidoscopici, dolori, svenimenti, perdita di orientamento, problemi gastrointestinali… tutto da moltiplicare per ogni oggetto proveniente dall’esterno, compresi gli esseri umani.

Questo degli alimenti è quindi solo un problema del vivere quotidiano, che si verifica anche delegando a terzi gli acquisti. Cerchiamo di immaginare insieme, per un solo momento, quante esposizioni profumate un malato – rinchiuso e isolato in casa – subisce. Pulizia scale? Bucato dei vicini? Disinfettante stradale? Profumi dei passanti o dei condomini? Insetticida nelle zone comuni? Spray? Catrame? È una inenarrabile sofferenza continua ed incessante, distribuita su 24 ore, al di fuori dell’immaginazione comune. Non c’è poi tempo, né modo, di riprendersi da un dolore a cui si aggiungono, più frequentemente che raramente, dileggio, incomprensione e anche crudeltà.

Tuttavia, questo non dovrebbe accadere a prescindere. Sarebbe nella natura dell’olfatto umano assuefarsi a un odore dopo un certo periodo di tempo. Scrive Noam Chomsky della famosa rana bollita: l’essere umano ha la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando è troppo tardi. Cosa significa, in questo caso? Che le persone hanno progressivamente imparato, anche in virtù di un loro proprio danno olfattivo, a tollerare la scarsa qualità dell’aria interna agli edifici, la tossicità esalata dai prodotti di uso comune e quindi non vi collegano tutti i problemi di salute che ne seguono.

Alle persone affette da MCS questo non succede solo perché il loro cervello processa in modo diverso gli odori chimici rispetto ai gruppi di controllo. Quindi, la migliore terapia per tutti è sempre una riduzione delle esposizioni, quello che in gergo si chiama appunto “evitamento”.

Vi è poi una teoria psicologica, che educa a una riesposizione graduale alle sostanze chimiche per ottenere un recupero della tolleranza. Viene utilizzata per specifici disturbi fobici, ma non ci sono prove della sua efficacia e sicurezza con la sensibilità alle sostanze chimiche. Nello specifico, essa è inoltre in palese conflitto con le conoscenze sui recettori TRP, secondo cui l’esposizione ripetuta a sostanze chimiche disturbanti potrebbe aumentare la upregulation e la sensibilizzazione di questi recettori, con buone probabilità di causare un’esacerbazione iatrogena della patologia.

Si comprende quindi quanto sia complesso, per i pazienti MCS, il tema dell’accessibilità. Essa è la possibilità, per le persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere un edificio e le sue singole unità immobiliari, di entravi agevolmente e di fruire di spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.

In Italia, l’accessibilità è stata disciplinata dalla Legge 13/89 sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Successivamente, nel 2004, è stata approvata la legge “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, nota anche come Legge Stanca.

Scrive sempre Sunara Taylor: “Negli ambienti di lavoro e in quelli scolastici, l’accesso a personale di sostegno, tecnologie assistive, pause extra, mezzi di comunicazione più flessibili (come e-mail telefono, chat online o riunioni di persona) modifiche all’illuminazione e politiche che tengano conto delle persone sensibili a profumi e sostanze chimiche, possono fare la differenza tra un ambiente completamente inaccessibile e uno aperto a più persone”.

Nel corso della mia lunga ricerca sul tema, non ho ancora trovato risposte a molte domande. A volte, sono i sogni notturni a inviarmi possibili percorsi di ricerca: percepisco infatti gli odori disturbanti nel sonno come nella realtà. In pratica, sogno gli odori e, quando un odore invade il mio spazio d’aria durante il sonno, mi sveglio. Secondo gli studiosi, l’olfatto umano non sarebbe in grado di allertare in modo affidabile un dormiente (10-11): eppure, a me avviene. Se non dovremmo funzionare in questo modo, mi chiedo: fin dove ci siamo spinti, in questa corsa a inquinare ogni angolo del pianeta, se molti dei nostri corpi reagiscono in questa maniera? Spero perciò che questa pubblicazione possa raggiungere alcuni obiettivi:

  • Sensibilizzare i singoli sulla sfrenatezza nell’utilizzo delle fragranze nella vita quotidiana. Questa pratica non sta infatti migliorando la qualità dell’aria che respiriamo e non sta favorendo la salubrità. Sta, invece, contribuendo a contaminare il nostro habitat e mette a rischio la vita dei nostri figli.
  • Allargare la coscienza delle persone sul fatto che il problema non riguarda solo gli individui che coscientemente soffrono per l’esposizione ai FMs. Si tratta piuttosto di una rivendicazione sociale e culturale, così come in passato si è lottato per una restrizione del diritto di fumo in spazi comuni.
  • Cercare di guardare “dietro al sipario” e svelare chi sta pilotando e lucrando su questa imposizione ubiquitaria dei materiali di fragranza (FMs), malgrado ci siano evidenze scientifiche sulla nocività di molte di queste sostanze.
  • Prendere coscienza di come sarà danneggiata la salute dei lavoratori che sono a contatto ogni giorno con questi FMs e che probabilmente non riceveranno mai risarcimenti.
  • Sollevare interrogativi sui FMs riguardo a temi come accessibilità, libertà, consenso e invasione dello spazio vitale, perché non si può continuare a rifiutare di conoscere i fatti solo per poter continuare a ignorare il problema.

Note:

  1. Taylor Sunaura. Bestie d soma – disabilità e liberazione animale. Edizioni degli animali. Milano 2021, (pp. 8, 14, 45, 46, 48, 49, 52, 53, 55, 66).
  2. Camphell Fiona. Contours of Ableism (New York: Palgrave Macmillan, 2009, p.17.
  3. Quadro dell’UE per la Convenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. http://fra.europa.eu/it/content/quadro-dellue-la-convenzione-delle-nazioni-unite-sui-diritti-delle-persone-con-disabilita
  4. Steinemann Anne PhD. National Prevalence and Effects of Multiple Chemical Sensitivities. Journal of Occupational and Environmental Medicine 60(3): pp. e152-e156, March 2018. doi: 10.1097/JOM.0000000000001272
  5. Lipson JG. We are the canaries: self-care in multiple chemical sensitivity sufferers. Qual Health Res. 2001 Jan;11(1):103-16. doi: 10.1177/104973201129118966. PMID: 11147157.
  6. Alison Johnson Editor MCS Information Exchange Brunswick, ME., 04011, U.S.A. Casualties of Progress: Personal Histories from the Chemically Sensitive by Alison Johnson With a Foreword by Gunnar Heuser, M.D., Ph.D. Cumberland Press. Brunswick, Maine. 1999, 276 pages.
  7. Sofia Jaworski. Chemical Disability and Technoscientific Experimental Subjecthood: Reimagining the Canary in the Coal Mine Metaphor. https://catalystjournal.org/index.php/catalyst/article/view/36206/30023
  8. Molot J, Sears M, Marshall LM, Bray RI. Neurological susceptibility to environmental exposures: pathophysiological mechanisms in neurodegeneration and multiple chemical sensitivity. Rev Environ Health. 2021 Sep 16;37(4):509-530. doi: 10.1515/reveh-2021-0043. PMID: 34529912.
  9. Molot J, Sears M, Anisman H. Multiple chemical sensitivity: It’s time to catch up to the science. Neurosci Biobehav Rev. 2023 Aug;151:105227.
  10. Zadra AL, Nielsen TA, Donderi DC. Prevalence of auditory, olfactory, and gustatory experiences in home dreams. Percept Mot Skills. 1998 Dec;87(3 Pt 1):819-26. doi: 10.2466/pms.1998.87.3.819. PMID: 9885043.
  11. Carskadon MA, Herz RS. Minimal olfactory perception during sleep: why odor alarms will not work for humans. Sleep. 2004 May 1;27(3):402-5. PMID: 15164891

Donatella Stocchi