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Racconti di Sensibilità Ambientale.

Sensibilità Chimica Multipla: Il racconto di Donatella Stocchi

La Mia é una lunga Storia di Esposizioni Chimiche…

Mi chiamo Donatella Stocchi e vivo a Ferrara, dove ho lavorato come terapista della riabilitazione. Sono gravemente disabile da molti anni a causa di un’anestesia generale ricevuta negli anni ’90. A seguito di questo evento, ho sviluppato la Sensibilità Chimica Multipla (MCS) – una sindrome da intossicazione permanente riconosciuta in diversi Paesi del mondo, ma non nel nostro – e ho iniziato a occuparmi di ecologia e legislazione ambientale, diventando militante in numerose associazioni nazionali e internazionali.

Dopo tre decenni di studio, sono ormai consapevole che c’è un vuoto di offerta culturale – e una finestra di mercato – su un tema che diventerà presto di primo piano: la tossicità delle fragranze di sintesi. L’utilizzo di queste molecole è stato implementato dalla pandemia, ma mancano tecnici e riferimenti testuali per affrontare con competenza e completezza la qualità dell’aria indoor e outdoor, soprattutto in termini di accessibilità. Ho dunque deciso di raccogliere tutta la mia esperienza in un volume che possa essere utile ai tecnici, ai giuristi e ai gruppi di lavoro che si occuperanno della qualità dell’aria nei luoghi pubblici, negli ospedali e nelle scuole, sperando di contribuire a una legislazione di controllo sui materiali che compongono le fragranze. Il tipo di pubblicazione si presta, inoltre, a fare da base per tesi di laurea e dottorato.

La mia è una lunga storia di esposizioni chimiche e, nella società odierna, è una storia che appartiene a molte persone. Ho sempre abitato a Ferrara, una bellissima città d’arte e cultura purtroppo altamente inquinata da un polo industriale chimico. Il polo è stato voluto nel 1936 con un primo impianto di gomma sintetica ma, dopo la guerra, si è espanso e si sono aggiunte le industrie. Ha così preso il via un’ampia produzione di polipropilene e catalizzatori Ziegler-Natta, elastomeri, polietilene e catalizzatori per polietilene, tecnopolimeri, poliammide e compounding.

E poi ancora: fertilizzanti a base azotata con stoccaggio di ammoniaca. L’ammoniaca sostava nell’aria del Barco e di Pontelagoscuro, ma a volte arrivava anche fino a Ravalle.

Fino al 1998, il polo ha lavorato il cloruro di vinile monomero – risultato poi cancerogeno – per la produzione di gomme e plastiche. Era una fabbrica dall’odore di mandorla amara a causa del famigerato gas CVM, che veniva utilizzato per la polimerizzazione del Pvc. E non solo: il petrolchimico aveva al suo interno anche un inceneritore industriale – chiuso nel 2008 – che bruciava 28 tonnellate di scarti solidi e liquidi all’anno. Ha da sempre ospitato anche due centrali turbogas da 100 Mwe (Megawatt elettrico) per la produzione di energia elettrica e vapore e, nel 2009, le centrali sono state sostituite dalla “cattedrale del deserto”, la centrale Turbogas da 800 Mwe, edificata sui terreni contaminati del petrolchimico evitando di bonificare l’area. Sempre in loco vi sono stati due inceneritori per uso urbano, che emettevano diossine, furanici e polveri sottili. Alla chiusura del più vecchio, ormai obsoleto, il secondo è stato triplicato con conseguenti livelli di ozono molto elevati nell’area. Di recente è stato poi attivato un nuovissimo impianto per riciclare la plastica.

Quando avevo sei anni, la mia famiglia si è trasferita a ridosso del petrolchimico e le mie condizioni di salute sono precipitate. Anche se mi riprendevo solo quando mi allontanavo dalla città, da bambina e adolescente non avevo paura di vivere vicino al petrolchimico: era un fatto naturale, come mangiare e dormire. Gli operai andavano al lavoro e potevano mantenere le loro famiglie e questo era un motivo sufficiente per abitare lì. I parenti che venivano a trovarci si lamentavano della puzza (che si sentiva già all’inizio di via Canapa), ma anche questo era normale. Di notte, poi, dalla mia finestra, il mostro di metallo, cemento, fiamme e fumi si trasformava in un mondo magico su cui fantasticare. Lo vedevo così come lo descrisse Fellini: “…e appare fra fumi e vapori quel groviglio di gomitoli d’acciaio che sono i gasometri, le cisterne, gli edifici fantascientifici, silente e magico come preziosa astronave posata nel centro dell’Emilia…”.

Anche il Po fa parte dei ricordi belli della mia infanzia. Mio padre pescava sulla riva il pesce che poi mangiavamo in famiglia, ma prima lo metteva nella vasca da bagno per farlo vedere ai vicini. E poi i nostri pic-nic, le passeggiate sull’argine, i giri in bicicletta! Trovai anche una piccola tartaruga e la portai a casa con me. Oggi le cose sono ben diverse e l’acquedotto comunale eroga l’acqua del grande fiume a un costo economico molto elevato. Eppure, anche se ci vantiamo di avere il miglior sistema di depurazione, l’acqua arriva a noi dopo aver raccolto i contaminanti chimici che provengono da tutto il nord d’Italia. Tra l’altro, i controlli sulla qualità dell’acqua sono stati trasferiti in un’altra città, dunque sono meno frequenti di un tempo.

Un po’ per ignoranza, un po’ perché non avevo nessuna paura della chimica, nel 1976 partecipai anche a un viaggio di protesta a Seveso, proprio nei giorni successivi allo spargimento di diossina della fabbrica Icmesa. Da adulta ho poi vissuto per vent’anni in un mini appartamento che confinava con le cappe aspiranti dei laboratori di chimica universitari, che immettevano nell’aria una miscela di cicloesano, alcole etilico, diclorometano, acetone, cloroformio, etere dietilico, etere di petrolio, alcole metilico, acetonitrile e dimetilformammide. Avevo il camino della centrale termica a meno di 20 metri e ne uscivano di continuo fumi sospetti. Dall’impianto di clorazione dell’acqua arrivavano invece emissioni di cloro, ammoniaca, sale ammonio e solfuri. Gli inquilini si ammalavano, dunque abbiamo scoperto – solo in seguito ai nostri esposti – che questi laboratori non avevano tutti i permessi di legge. Il palazzo, poi, era una vecchia edilizia popolare dell’ACER invasa dalle muffe e in perenne ristrutturazione. A poche centinaia di metri c’era infine l’alto camino termico dell’ex Ospedale Sant’Anna, che ogni giorno spargeva intorno la sua fuliggine nera.

Ovviamente, non sono mancate neanche le esposizioni legate agli stili di vita familiari: fumo passivo, riscaldamento a carbone e a cherosene, insetticidi (compreso il DDT), trattamenti chimici per pidocchi, alimenti cucinati in pentolame di alluminio e conservati in scatola, profumi e sostanze profumate, detergenti non ecologici e prescrizioni (fin dall’infanzia, a causa dei molti disturbi e interventi) di farmaci sintomatici inappropriati. E poi intolleranza genetica al lattosio e al glutine (ma allora non si disponeva di queste conoscenze) e una predilezione per il saccarosio.

Per finire, a Ferrara la qualità dell’aria è sempre stata aggravata dalla mancanza di venti e dalla presenza di nebbia anche in estate. In qualsiasi zona della città si risieda, oggi l’aria non è salutare e per di più continuano le esplosioni e le fuoriuscite chimiche a causa di piccoli incidenti industriali…

L’intenzione di questo scritto è di presentare il vissuto di quelle persone che devono affrontare un cambiamento radicale del proprio stile di vita a seguito della perdita graduale o improvvisa della salute. Per quanto riguarda me, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata un’anestesia generale gassosa di derivazione petrolchimica, nel 1992. Questo evento mi ha condotto alla T.I.L.T. (Toxicant-Induced Loss of Tolerance, Ashford & Miller 1998, 2000), la perdita di tolleranza ambientale che può colpire organi e apparati. La TILT si manifesta con una sintomatologia complessa di accumulo di xenobiotici ambientali che rendono l’organismo incapace di tollerare gli agenti chimici presenti nell’ambiente anche a dosi bassissime rispetto a quelle tollerate dalla popolazione generale.

Un risveglio traumatico che ho sempre ricondotto a un racconto di Franz Kafka: La Metamorfosi. Il personaggio principale è Gregor Samsa, un commesso viaggiatore che, con il suo lavoro, mantiene il padre, la madre e la sorella. Un giorno, Gregor si sveglia trasformato in un gigantesco insetto. Una storia – quella de La Metamorfosi – che descrive molto bene il senso di angoscia per la diversità, l’emarginazione, l’alienazione e la spersonalizzazione sia a livello familiare che a livello sociale. Da quel momento in poi, infatti, la vita di prima posso ricordarla soltanto con gli occhi della mente. Il mio è stato l’inizio di una nuova vita, ma senza nessun libretto d’istruzioni.

La Sensibilità Chimica Multipla è una patologia neurotossica nota, tra le altre cose, per alterare la percezione sensoria. Gli organi di senso – vista, udito, tatto, olfatto e gusto – rappresentano gli strumenti di base per conoscere, apprendere e rapportarci con il mondo circostante. Determinano nell’individuo lo sviluppo d’intelligenze multiple e delle memorie che costituiscono il vissuto (Howard Gardner, ricercatore dell’università di Harvard). Infatti, le malattie tabellate per questi deficit sensoriali comportano un’elevata invalidità. Nella pratica, sono più frequenti i danni che implicano la perdita totale o parziale di questi strumenti di relazione e di codifica della realtà.

Nella Sensibilità Chimica Multipla, uno, due o più organi di senso possono poi trasformarsi in acuità dei sensi: sensibilità alle luci forti, ai rumori, agli odori, ai sapori, ai cibi, agli additivi e ai prodotti chimici, ma anche al contatto fisico e all’abbigliamento. Questo pone l’individuo in uno stato di grande difficoltà nel rapporto con l’ambiente, con il proprio corpo e anche con le esperienze precedenti. L’ambiente acquista una pericolosità nuova fatta di sostanze di uso comune che prima erano tollerate o che addirittura rendevano piacevole l’esistenza (per esempio certi odori e sapori). Il corpo sviluppa ora reazioni all’ambiente, alle persone, agli alimenti… tanto da farci definire “allergici al mondo”. Il corpo diventa un nemico con cui fare i conti ogni momento della giornata e soprattutto, non dà mai tregua.

Le persone sane difficilmente riescono a comprendere questa intensità dei sensi: una sensibilità amplificata di 10, 100, 1000 volte, come descritto dal ricercatore Martin Pall. Molte volte ho immaginato di poter entrare in una vasca di deprivazione sensoriale, chiamata anche vasca d’isolamento o vasca di galleggiamento, uno strumento inventato dal Dr. John Lilly negli anni Cinquanta. Chissà se lì dentro i miei organi di senso troverebbero finalmente la quiete?

Se poi la trasformazione è dovuta a un’esposizione improvvisa, come nel mio caso, ci si trova catapultati in un letto di ospedale in una realtà parallela che non si sa come gestire (purtroppo non lo sanno neanche i medici). Sentivo odori, sapori, rumori con un’intensità che non avevo mai sperimentato prima… e non si spegnevano, anzi, aumentavano col passare del tempo. Vi faccio un esempio: quando si entra in un panificio si apprezza l’odore del pane appena sfornato, ma dopo una mezzora questo profumo passa in secondo piano e non lo si avverte più. Questo è dovuto al fatto che il nostro sistema neurologico non può essere costantemente impegnato a ricevere tutte le informazioni sensoriali. Alcune le inibisce e altre le facilita perché, se così non fosse, saremmo sommersi dagli impulsi. Un altro esempio: quando ci si veste, dopo un po’ ci dimentichiamo di avere gli abiti addosso. Non li sentiamo più, a meno che non siano stretti o ruvidi, e solo concentrandoci possiamo sentirli nuovamente. Si tratta di un processo volontario, uno sforzo di attenzione. Per noi malati, però, il mondo è alla rovescia: è come avere un allarme acustico che si attiva per ogni inerzia senza che si possa arrestarlo. Tra l’altro, anche l’udito funziona permanentemente, persino durante il sonno. Il suo funzionamento è infatti legato a una delle due paure ancestrali umane: i rumori forti. Gli organi di senso più difficili da gestire sono dunque l’olfatto, il gusto e l’udito. Gli occhi, infatti, si possono sempre chiudere.

La letteratura fornisce grandi esempi del ruolo giocato dai sensi. Celebre la madeleine proustiana, il dolcetto immerso in una tazza di tè fumante che aprì allo scrittore una porta sui ricordi del passato. Proust ha intuito che l’olfatto e il gusto giocano un ruolo fondamentale nel recupero della memoria passata (Jonah Lehrer, Proust era un neuroscienziato, Codice Edizioni, 2008). Ed è vero: i ricordi olfattori hanno una permanenza maggiore nel nostro cervello rispetto agli altri. Sono più “sentimentali”, più “soggettivi” e poco trasmissivi. Sono loro a pilotarci nella vita. Pensiamo a una donna incinta, che acuisce l’olfatto per proteggere il figlio che porta in grembo da esposizioni tossiche, ed è sempre attraverso l’odore che madre e figlio si riconoscono. È poi la percezione dei ferormoni che ci fa innamorare dell’altro, mentre un corpo malato emette un odore sgradevole. Tutto questo è però possibile perché i sensi del gusto e dell’olfatto sono collegati direttamente all’ippocampo, un’area del cervello deputata alla memoria a lungo termine, mentre gli altri sensi sono processati dal talamo, la via del linguaggio. Insomma, narici e papille gustative percorrono vie direttamente collegate al cervello. Nessuna meraviglia, quindi, se un odore lo si percepisce anche in bocca, come un sapore: è infatti così che in questa malattia ti sembra di aver mangiato un profumo o un detersivo, ed è così che si scatenano anche le emozioni di disgusto, rabbia, ansia, tristezza e gioia. Lo sanno bene i profumieri, quando progettano nuove fragranze per pilotare le scelte dei consumatori, fragranze che oggi sono onnipresenti al punto che non si riesce a evitarle. Vi ricordate Il Profumo di Patrick Suskind? Un romanzo inquietante, ma illuminante, da cui è stato tratto anche un film. Scrive Suskind: “Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell’apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi”.

Ma la letteratura offre addirittura spunti diretti alla Sensibilità Chimica Multipla. Albert Donnay, professore di tossicologia e ingegneria della salute alla John Hopkins University e noto attivista americano in ambito MCS, ha proposto una nuova ipotesi riguardo le opere e la morte di Edgar Allan Poe. Secondo lo studioso, nelle opere di Poe abbondano le descrizioni dei sintomi legati all’avvelenamento da monossido di carbonio emesso dalle illuminazioni a gas dell’epoca, sintomi che potrebbero addirittura essere collegati alla sua morte misteriosa.

Per sfuggire a questo acuirsi dei sensi e agli altri sintomi della malattia, ci sono malati che sono arrivati a chiudersi il naso con mollettoni, a mettersi dei tamponi di garza nelle narici e a indossare pesanti maschere. Tuttavia, nulla è in realtà sufficiente. L’esposizione alle sostanze chimiche sortisce infatti i suoi effetti anche tramite le mucose oculari e la pelle. Negli anni ho ascoltato anche le storie surreali di malati che sono fuggiti dalla civiltà sperando di sottrarsi così al suo inquinamento chimico ed elettromagnetico. Alcune persone hanno vissuto isolate nel deserto roccioso (senza acqua, luce, gas), oppure in camper itineranti, in automobili, in tende all’aperto, in grotte e boschi. Altri ancora vivono sigillati in stanze bonificate in una sorta di arresti domiciliari volontari, riducendo al minimo i contatti con l’esterno. È un elenco di realtà che ci fa sembrare persone bizzarre e non integrate.

Personalmente, all’inizio in ospedale mi hanno etichettato come isterica e sono grata alla dottoressa che ha preso le mie difese ponendo il problema in termini di reattività poliallergica. Tuttavia, appena sono riuscita a mettermi in piedi – avevo perso molto peso – mi hanno liquidato e mandato a casa. Per fortuna, appartengo a quel 5% di malati che oltre alla MCS sono allergici con reazioni IgE, altrimenti sarei stata indirizzata a un reparto psichiatrico.

Ho però passato i mesi successivi tra continui dentro e fuori dal Pronto Soccorso. La mia casa, mio marito, i farmaci, i prodotti per la pulizia del corpo, i detersivi per il bucato e la casa, le cose naturali come gli alimenti, la natura circostante, le attività dei vicini di casa, l’ambiente di lavoro… tutto scatenava i sintomi più svariati. L’unica scelta possibile era scappare da tutto ed evitare le cose che mi ferivano perché, anche se siamo nel XXI secolo, il nostro cervello emozionale è rimasto lo stesso dei tempi antichi. Applica dunque due modalità principali davanti al pericolo: lotta o fuga. Ne esiste una terza, di solito mai citata perché non ritenuta socialmente accettabile: la resa, o immobilità.

Nei momenti critici sono poi arrivata a non poter più usare nessun farmaco tradizionale, a bere solo un tipo di acqua in vetro, a mangiare solo 4 alimenti, a lavarmi solo con acqua, a dormire su una brandina da mare in cucina, a non usare più detersivi, a fare dei periodi agli arresti domiciliari e a vivere dei giorni in macchina (questo per sfuggire a esposizioni chimiche presenti all’aperto o provenienti dai terrazzi vicini). Dal 1992 non uso neanche il dentifricio. Il mio è dunque un calvario che dura da oltre 30 anni, ma anche questo calvario non è definitivo: il decorso è infatti costituito da fasi acute seguite da periodi di relativa remissione. È possibile migliorare e ritornare a momenti di maggiore tolleranza, ma non per alcune sostanze chimiche. Certe esposizioni, infatti, continuano a procurare danni gravissimi e andrebbero sempre evitate.

Sensibilità Chimica Multipla: Il racconto di Donatella Stocchi

La Mia é una lunga Storia di Esposizioni Chimiche…

Ho dovuto attendere dal 1992 al 1996, per avere una diagnosi e ho ottenuto comunque solo una certificazione, nessuna prescrizione di cura e nessuna indicazione utile su come vivere e migliorare. Sono approdata alla diagnosi per caso, tramite una rivista che pubblicava la notizia di un ricercatore italiano, il prof. Nicola Magnavita, che aveva raccolto i primi casi italiani della “malattia da odore”. Visto l’isolamento sociale in cui ormai vivevo, nel 1996 un amico medico mi ha consigliato di acquistare un pc. Non lo possedevo e non l’avevo mai usato. Mi disse di collegarmi via internet con le realtà USA, dove erano molto più avanti nella gestione e nello studio della malattia. Negli USA infatti si faceva ricerca dagli anni ’50 e c’erano molte organizzazioni.

Ho così avuto accesso a un universo d’informazioni. Mi sono iscritta a gruppi di autoaiuto per MCS statunitensi e non. Il movimento infatti era attivo in tanti paesi, una risorsa preziosa in termini di studi e ricerche, per imparare le strategie di evitamento ambientale e per creare una rete di supporto sociale. Finalmente non mi sono più sentita un fenomeno da baraccone, emarginata da una medicina che ignorava la sindrome e da una società diventata ormai straniera.

Ho dunque portato questi tesori in Italia. All’epoca eravamo solo cinque persone con questa diagnosi in tutta la penisola. Abbiamo messo in piedi un volontariato associazionistico, l’Associazione AMIS in Sardegna nel 1998 con presidentessa Rosanna Demuro. Ho poi realizzato il primo sito amatoriale italiano per MCS assieme a un amico informatico e a mio marito. Ho curato la traduzione di studi, ricerche e l’istruzione all’evitamento ambientale. Finché, sono arrivata alla fondazione dell’Associazione Amica nel 2003, assieme alla cara amica Francesca Romana Orlando. Come i pionieri americani, abbiamo iniziato le nostre piccole e grandi battaglie per il riconoscimento italiano della sindrome, battaglie che – però – sono ancora in corso. Una campagna davvero complessa, la nostra, portata avanti da poche persone malate che non possono maneggiare carte e inchiostri, che hanno difficoltà a stare al pc e al telefono, che non possono viaggiare e che vivono spesso in uno stato d’indigenza e isolamento. Al tempo stesso, questo movimento di rivendicazione dei diritti si è trasformato in una terapia sociale per non rimanere persone invisibili, per dare voce alle nostre richieste, per informare medici e istituzioni, per promuovere la prevenzione affinché altri fossero risparmiati, per continuare a essere vivi e per alimentare la speranza in una cura e in una migliore qualità di vita. Le parole che hanno sorretto la mia volontà di reagire alla malattia e alle sue limitazioni in una società che la nega sono state quelle dell’antropologa Margaret Mead: “Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. In fondo, è così che è sempre andata”.

Tuttavia, in casi diversi dal mio la perdita di tolleranza è lenta e subdola. Non compare all’improvviso con una esposizione facilmente individuabile: la tolleranza si perde lentamente, un poco alla volta, giorno per giorno. Come per i tumori, che talvolta impiegano anni prima di manifestarsi in tutta la loro pericolosità, in questi casi è molto più complesso capire che cosa ci ha intossicati e resi malati. Il tutto è poi mascherato dall’adattamento che il corpo tenta di attuare per mantenersi in salute nonostante le esposizioni. Ma a prescindere da queste differenze, la malattia è per ogni individuo un passaggio cruciale.

Nelle diverse fasi della vita, l’essere umano ha bisogno di essere oggetto di diverse pratiche di cura e accudimento: nell’infanzia per raggiungere l’autonomia, nella vecchiaia perché l’autonomia viene a mancare, e poi quando si è disabili o ci si ammala. In queste ultime due circostanze, l’individuo può non essere in grado di realizzare alcuni scopi della vita come il lavoro, gli affetti e le relazioni sociali. È quindi naturale che il malato e la sua famiglia si trovino ad affrontare realtà e prove difficili come la perdita della speranza del futuro, la dipendenza dagli altri, la perdita del lavoro, l’abbandono e il timore di perdere le proprie capacità affettive e sessuali. Per quanto riguarda me, alla fine del 1992 dovetti lasciare il lavoro in ambiente sanitario. Gli ospedali e le scuole sono infatti ambienti ricchi di contaminanti ambientali! Provai quindi a inventarmi altre occupazioni, ma tutte mi facevano aggravare. Rassegnata, iniziai con le domande d’invalidità. È quindi indispensabile arrivare precocemente a una diagnosi. Bisogna evitare che la malattia progredisca a stadi avanzati dai quali diventa improbabile tornare indietro, stadi che sono difficilmente gestibili e che causano danni agli organi. Bisogna cercare di non perdere l’occupazione e di non dilapidare le risorse economiche famigliari in pellegrinaggi di anni tra specialisti vari e terapie non adeguate.

Purtroppo, ci sono stati in passato e continuano ad esserci movimenti negazionisti della MCS, che ostacolano prima la diagnosi, poi la presa in carico da parte del sistema sanitario e infine il diritto dei pazienti alla cura. Abbiamo esaurito la maggior parte delle iniziative possibili: petizioni, interpellanze, mozioni, manifestazioni, interrogazioni al senato, convegni, conferenze, congressi, esposti. Abbiamo iniziato le cause legali per i risarcimenti danni da esposizioni ambientali professionali, per il diritto ad adeguamenti all’handicap in ambito lavorativo, per danni causati da presidi sanitari (come gli amalgami al mercurio, le vaccinazioni, le anestesie), per esposizioni a insetticidi o materiali di costruzione edile, per il rimborso delle terapie all’estero e il diritto alla scelta delle cure. Tuttavia, gli interessi delle controparti (industrie farmaceutiche e di sostanze chimiche, fabbriche, direzioni del lavoro di enti pubblici e privati, regioni, USL, ecc.) prevalgono nelle aule di tribunale grazie alle testimonianze e alle relazioni di periti incaricati dalle istituzioni. In alcuni casi persino i giudici si sono dimostrati di parte. È insomma la vecchia storia del più debole che soccombe al più forte e anche la sottoscritta ha fatto parte di questa schiera di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Credevo nella giustizia, nella moralità, nell’integrità: valori che stanno scomparendo. Ricordo che, dopo aver perso in tribunale, un caro compagno di battaglie legali si è tolto la vita nell’ambulatorio del medico di base: in segno di protesta.

La malattia è un’irruzione della casualità, una forza incontrollabile che stravolge i ritmi e gli stili di vita. Le patologie sistemiche croniche e invalidanti hanno inevitabilmente una ripercussione sul vissuto della persona e le conseguenze sono psicologiche, comportamentali, emozionali, psico-sociali, eccetera. La Sensibilità Chimica Multipla, sindrome multisistemica che colpisce più organi e apparati, come diverse patologie poco conosciute risulta ostacolata nella diagnosi precoce. Aggiungiamoci poi la scarsa informazione dei medici nell’ambito delle malattie ambientali, l’ostruzionismo perpetuato da certe corporazioni/istituzioni/enti che hanno portato letteralmente alla chiusura delle diagnosi presso le Medicine del Lavoro italiane, facendo confluire i malati in un unico centro bolognese che visita una sola mattina alla settimana dal 2007. Da un altro centro di riferimento per la patologia nella regione Lazio, attivo a Roma dal 2009, dopo solo alcuni anni di attività è stato rimosso il direttore incaricato e poi successivamente, sulla base di una contro delibera regionale, il centro è stato definitivamente chiuso. Diverse forti organizzazioni hanno tutti gli interessi a disconoscere l’MCS come un disturbo organico, a relegarla in un ambito di disagio olfattivo e paura della chimica del XXI secolo. Ma di qui a dire che è tutto nella testa del paziente il passo è breve ed è così che non permettono l’inserimento dell’MCS nell’elenco nazionale delle patologie tabellate dal SSN.

Il malato che presenta questa nuova costellazione di sintomi – difficili da comprendere sia in famiglia che nell’ambiente di lavoro e in ambito sociale – non trova nel medico un alleato, né riceve risposte e terapie idonee. Il più delle volte questo pellegrinaggio tra specialisti che non hanno una visione d’insieme, l’impiego di tecniche diagnostiche invasive e la somministrazione di cure inadatte, intossicano maggiormente il paziente facendolo scivolare verso stadi più avanzati. Solo, incompreso da tutti e in preda a sintomi multi-organo che disorientano gli specialisti, il paziente talvolta si ripiega su sé stesso rifuggendo i sanitari, le terapie e l’ambiente ospedaliero anche quando ha bisogno d’interventi urgenti.

La mia esperienza personale non è diversa. Nel 2009 avevo bisogno di un intervento urgente all’addome. Dopo aver contattato ospedali e collezionato rifiuti ad adottare i protocolli ospedalieri necessari, dopo aver fatto battaglie politiche per potermi sottoporre a questa operazione, mi è stato concesso di fare un day hospital di valutazione in locali non bonificati. Sono tornata a casa in condizioni fisiche molto gravi e in seguito a questa esposizione nei mesi successivi ho perso 8 kg, tanto da rischiare di non farcela. Mi sono resa conto che a quel tempo non esisteva un ambiente adeguato alle mie necessità di paziente totalmente disabile, che i medici non erano in grado di gestire la complessità del mio quadro clinico e che non sarei uscita dalla sala operatoria. Ci sono infatti persone che non ce la fanno. Alcuni anni fa una cara amica si è spenta a soli 36 anni in casa per queste medesime ragioni, nella latitanza delle direzioni sanitarie locali. Un’altra è stata portata in ospedale – proprio l’8 marzo – e operata d’urgenza solo perché ormai incosciente, ma non ha superato la giornata. Sono in netto aumento i casi di persone affette da MCS che sviluppano tumori e patologie cardiocircolatorie. Purtroppo, si deve anche riferire di casi di suicidi.

Senza osservazione, ascolto, rispetto, studio e ricerca riguardo alle problematiche di questi pazienti, non ci sarà alcun miglioramento. Nell’affrontare e gestire l’MCS, è molto importante che il malato istituisca una relazione di fiducia e collaborazione con il medico. Sappiamo benissimo che le terapie sono sperimentali e che siamo – in fondo – cavie, ma con oculatezza e gradualità si può collaborare per ripristinare un’alimentazione corretta, integrare le sostanze che le malattie metaboliche non riescono a sintetizzare (vitamine, minerali, aminoacidi, ormoni, ecc..) e favorire la chelazione delle sostanze tossiche accumulate nell’organismo.

In molte occasioni, nel corso delle visite non mi sono sentita una semplice paziente ma una persona sotto esame. Dovevo dimostrare che quello che riferivo era reale e non una simulazione o il frutto della mia fantasia. Ho quindi imparato a documentare sintomi con fotografie, certificazioni del medico di base che aveva assistito o documentazioni del 118. Ripeto, già essere un paziente MCS è complesso e difficile, dover poi provare ai medici che non si tratta di un fenomeno psicologico è doppiamente complicato. In tutti questi anni non ho quindi mai potuto permettermi il lusso di essere una semplice malata che chiedeva un aiuto sanitario. Ho dovuto informare, documentare, motivare, spiegare e giustificare. E alcune volte sono stati veri e propri interrogatori, come nei film polizieschi. Giusto per vedere se mi contraddicevo!

Per quelli che appartengono a istituzioni dichiaratamente negazioniste della MCS, il primo obiettivo è bloccare le diagnosi e trasformarle in qualcosa d’altro: perché la verità è che non siamo malati “rari”, ma che si tratta di un’epidemia. Questa epidemia dimostra come questo modo di vivere non sia salutare e che sono proprio i prodotti di uso quotidiano a farci ammalare. È lo stile di vita proposto dai media e dal consumismo che non tiene conto né della salvaguardia della salute, né dell’ecosistema in cui viviamo. Rispetto agli anni bui, oggi i progressi della scienza ci forniscono esami di laboratorio che indicano chiaramente quali sostanze (xenobiotici) ci hanno intossicato. Vediamo dunque quali sostanze hanno penetrato il nostro DNA creando degli “addotti” che interferiscono con le normali funzioni biochimiche e causano carenze o assenze di attività enzimatiche. Vediamo anche la nostra predisposizione genetica e le modificazioni epigenetiche che aumentano il danno ossidativo e lo squilibrio della membrana cellulare. È dunque possibile avere delle mappe geografiche per navigare attraverso la MCS. Quello che serve è un evitamento mirato – che resta la prima terapia – e poi provare integratori che compensino le carenze e un’alimentazione compatibile. È anche necessario escludere – tramite i profili di farmacogenomica integrata – quei farmaci salvavita che, se non metabolizzati correttamente, non avrebbero nessuna efficacia terapeutica ma anzi intossicherebbero il paziente. Dopo aver tanto sperimentato e pagato un caro prezzo sia in termini economici che in aggravamento del mio stato di salute, il mio atteggiamento nei confronti delle terapie è di estrema cautela. Serve una ponderazione oculata, una verifica costante che chiarisca se le terapie stanno causando benefici o peggioramenti del quadro clinico.

Negli anni, il movimento di riconoscimento per la patologia si è arricchito e valorizzato con molte associazioni che cercano di collaborare tra loro e continuano a sostenere un forte attivismo nei confronti delle istituzioni sanitarie e governative. Ho sempre desiderato essere un ponte di collegamento per la lunga esperienza storica avuta e sono a disposizione dei gruppi e delle associazioni.

Donatella Stocchi

Sensibilità Chimica Multipla: Il racconto di Donatella Stocchi

La Mia é una lunga Storia di Esposizioni Chimiche…

Dal 2017 ho collaborato attivamente con il Comitato Oltre la MCS, in particolare riguardo al tema di questo libro, per cui abbiamo realizzato una petizione online per la tossicità delle fragranze: “Più aggiungi PROFUMO, più INQUINI, più togli SALUTE a te e all’ambiente” che ha raccolto 24.078 firme. Gli intestatari della petizione erano:

Presidente Del Consiglio dei Ministri,
Presidente della Commissione Europea,
Ministro della Salute della Repubblica Italiana,
Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica,
Agenzia europea dell’Ambiente/ European Environment Agency,
Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA),
Presidente della Commissione per le petizioni, Parlamento Europeo, B-1047 BRUXELLES

Petizione https://chng.it/vJYgGPjhXw

WebSite https://fragrancefreezone.jimdo.com/

L’attivismo regionale ha poi ottenuto, presso diversi presidi sanitari italiani, l’approvazione di “Protocolli ospedalieri per la gestione del paziente con Sensibilità Chimica Multipla (MCS)”, ma spesso rimangono non applicati e sulla carta. Nel tempo c’è stato anche qualche punto di riferimento ospedaliero a carattere regionale per l’assistenza sanitaria, le cure dei malati MCS e gli interventi, ma è sempre legato alla discrezione dei professionisti che vi operano.

È stato pubblicato anche un Consenso Italiano sulla Sensibilità Chimica Multipla (MCS) dal Gruppo di Studio Italiano sulla MCS nel 2019, poi successivamente trasformato in una pubblicazione ufficiale nel 2021, su una prestigiosa rivista internazionale: International Journal of Environmental Reasearch and Public Health. Italian Expert Consensus on Clinical and Therapeutic Management of Multiple Chemical Sensitivity (MCS).

Sono mancanti ancora delle Linee Guida Sanitarie e corsi di formazione per il personale che abbiano una direttiva univoca e di carattere soprattutto nazionale perché le Istituzioni sanitarie governative come l’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità negli anni hanno ostacolato ripetutamente il riconoscimento e la presa in carico dei malati.

A tal fine sono stati prodotti dei documenti rilevanti di denuncia pubblica come:

  • Medici e associazioni chiedono “Verità per la Sensibilità Chimica Multipla” alle Istituzioni. Maggio 2022.
  • Sensibilità Chimica Multipla e Istituto Superiore di Sanità – Analisi critica del documento che sottintende l’origine psichica della Malattia. Lina Pavanelli. Gennaio 2023.

Concludendo, non permettiamo che si continui a ostacolare la diagnosi e nemmeno che tutti i sintomi non ancora spiegabili confluiscano in un unico calderone chiamato MCS. Non lasciamo che si faccia questa diagnosi solo per esclusione di altre patologie. A contatto con tossicità chimiche, un malato di mente può sviluppare questa sindrome tanto quanto un poliallergico grave o un paziente affetto da altre patologie. Usiamo invece i nuovi esami emergenti di laboratorio, disponibili grazie alla scienza, per comprendere gli xenobiotici che ci hanno intossicato e le mutazioni epigenetiche per fare un osservatorio epidemiologico permanente sulla MCS. Bisogna individuare i diversi modelli evolutivi della patologia e tentare di trovare terapie mirate. E vanno creati ambienti bonificati negli ospedali, aree con accessi preferenziali che ci diano la possibilità di eseguire visite, indagini diagnostiche, ricoveri e interventi chirurgici. Usciamo da questi standard medici di somministrazione di cortisone, antistaminici e psicofarmaci… perché siamo molto più complessi di così!

Donatella Stocchi